Andiamo in ficcanasaggio davanti all’entrata del reparto cure delle Terme, sovrastata dalla scritta OIKIANAE BALNEAE VITALES e affiancata da due alcove con dentro due anfore di marmo kitschizzanti, da outlet del benessere. Il fotografo Menecacci, con la macchina di scorta, fotografa all’impazzata: ogni dettaglio può servire in seguito, per elaborare un piano di infiltrazione.
Per entrare senza pagare, ci si potrebbe forse arrampicare sulle anfore e da lì spiccare un salto sul tetto dell’edificio, ma darebbe troppo nell’occhio – e già la bagarre fotografica del coraggioso Menecacci ha allertato il receptionist del reparto cure, un vecchio calvo e muscoloso, con folte sopracciglia e una T-shirt bianca, che rassomiglia tanto al nuovo Mastro Lindo (testimonial di un famoso shampoo decalvante¹). Ma sul lato destro dell’edificio c’è un nonluogo, un anfratto, una specie di vicolo cieco tra la parete destra del reparto cure e la parete sinistra di un altro edificio. Per terra, ci sono dei blocchetti di cemento, che dovrebbero essere parcheggi per biciclette, e un tubo per grondaia che sale fino al tetto.
Sarebbe l’ideale tornare nottetempo e arrampicarsi sul tubo, per poi entrare dall’alto: sul tetto c’è una torretta con delle vetrate, che si potranno aprire con leggero scassinamento.
Mentre ci allontaniamo dal vicolo cieco, una voce si leva, interrompendo i nostri pensieri criminosi: “I cani fanno parte delle Terme?”
La voce appartiene a un signore tracagnotto in bianco accappatoio; siede paciosamente su una panchina sotto un albero, per far prendere il fresco a due cagnetti color pepe. Evidentemente, è un habitué del reparto cure. Dopo aver visto il coraggioso Menecacci fotografare pazzamente ogni angolo delle Terme, si è sentito autorizzato a chiedere una foto per i suoi cani.
“Certo, perché no?” risponde il Menecacci, e fotografa i due cani.
“Guardate, bambini, il signore vi fotografa” dice l’ometto, con uno spiccato accento romano, e i cani ingiocondati guardano nell’obiettivo.
“Lei è di Roma?” dico io, incuriosito.
“Sì” risponde lui.
“Che ci fa un romano come lei in una città di leghisti? Non ha paura che la picchino? Chi la difenderà allora, i cani?”
“Ma questi non so’ cani” risponde l’ometto ridendo “so’ sciacalli! No, davvero: sono di razza Henry Jekyll Terrier; se qualcuno mi minaccia lo riducono a brandelli.”
“Acciderboli” dico io, guardando i cagnetti con occhi diversi. Poi saluto l’ometto e faccio segno al coraggioso Menecacci di smammare: Mastro Lindo cacacazzo ha iniziato a innervosirsi, viene verso di noi. Ci allontaniamo alla chetichella, e torniamo da dove siamo venuti.
Guida galattica alla città di Oik (7)
28 giugno 2008 di illettoreforte
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