Piove da un mese. Non so, forse più. Milano è buia di giorno come di notte, il fondotinta le si scoglie sul viso. Sulle mie spalle iniziano a proliferare muschi e licheni. Le pozze diventano laghi. Piove anche da sottoterra, inutile coprirsi. I piedi umidi, il calzino bucato, l’acqua arriva sull’alluce, sulle dita dei piedi, le altre che non hanno un nome. Entra nella pelle, divento anfibio.
La gente ha la faccia gialla e gli occhi neri, senza espressione, carichi di attesa. Aspettano il föhn, questo vento strano che pulisce tutto e fa dei cieli miracolosamente blu. Si scalda scendendo dalle alpi, attraversa le valli bergamasche, passa sopra le teste dei muratori orobici e accarezza i mobilifici brianzoli, per poi, alla fine, asciugare i capelli dei milanesi. Questo spiega tutto, persino il nome. Ma non arriva, non ancora.
Piove senza sosta. Provateci anche voi, entrate da Zucca, la porta della Galleria. Il mosaico con il pappagallo rosso verde e giallo, è sempre lì, sulla sinistra. Accertatevene. La temperatura no, ma l’umido in effetti è tropicale, il pappagallo gode di ottima salute. Guardatevi intorno e scoprirete: due altissime turiste norvegesi con una cartina di Milano in mano. Un capannello di 5-6 distinti ma tuttuguali ometti incravattati e pesantemente gessati. Una signora in pelliccia con una ruga che tradisce troppi bianchini. Un vecchio con il suo Borsalino che non beve soltanto, ma gusta. Elegante e invidiabile.
Ordinate un lavorato secco, solo uno, solo per voi. Campari, rabarbaro zucca, centerbe e soda. Spruzzato in dosi misteriose sopra una granita di ghiaccio tritato. Una fetta d’arancia. Bevete senza esagerare, studiate dal vecchio gesti e sorsate, che il lavorato non perdona. Forma e spessore del vostro bicchiere sono importanti ai fini della riuscita dell’aperitivo, quindi diffidate se non vi viene servito in una coppetta alta 10-12 cm, da un cameriere in giacca bianca.
Dalla finestra del bicchiere, già dopo il primo lavorato, vedrete il Duomo di sguincio. Zuppo, struggente. Senza fretta, per una volta. Qua non c’è happy hour.
questa è la pausa pranzo? 🙂
torno oggi da Bologna: lì non c’è il sole, mai. Milano è addirittura molto meglio.
la galleria è elegantissima. l’ho fatta poche volte, tutto sommato; probabilmente mi ha sempre intimidito
adesso forse potrei bere con l’eleganza del vecchio, col borsalino, senza infatuarmi dell’intorno.
vaffanculo agli happy hour (ché poi si paga lo stesso, o anche di più).
Ho dovuto rileggere due volte il post prima di commentare… che dire… come sempre molto coinvolgente teatro degli orrori… mi son goduta la passeggiata nella galleria e la scena della bevuta… a tratti ne ho sentito anche il sapore.. e forse ho visto il mondo umido anch’io in questi giorni… e non solo per la pioggia… ma avverto già tiepide ventate di vento tropicale giungere ad asciugare le malinconie invernali… forse sto “guarendo” da questa mia non lucidità… o forse la sto incastonando pericolosamente nella mia quotidianità tanto da non farci poi più tanto caso… chi lo sa e chi se ne importa 😛