ROMA. Capitano quelle sere paradossali. Cioè, epocali.
Quelle sere in cui tutto quello che conosciamo, per come lo conosciamo, sembra sia arrivato al capolinea. Che stia finendo per ricominciare stravolto, rivoluzionato. Quelle sere in cui succede qualcosa che – lo senti – farà cambiare un pezzo di mondo, se non proprio tutto. Scorci di storia.
E se queste sere non le vivi sul posto, perchè sei uno della periferia, e le cose grosse succedono solo a Roma, al massimo a Milano va’, almeno le percepisci e le sperimenti (a te pare) grazie alla televisione, la radio, il computer, il telefonino. La rivoluzione negli elettrodomestici. La due cavalli è roba vecchia. Figa, ma vecchia.
E quando la vivi in questo modo, e senti: Roma/Parigi/altra città grossa messa a ferro e fuoco! credi che sia davvero così che stanno andando le cose, anzi forse molto peggio, chè si sa che alla tele non dicono tutto quello che succede per motivi di sicurezza o perchè le cose manco le sanno poi così bene, oh diciamocelo, chi avrebbe il coraggio di rischiare la vita in mezzo al ferro, e al fuoco (una mezza riflessione che fai, ma su cui non ti soffermi ed è un peccato, perchè gli sprechi d’intuito sono imperdonabili).
Vedi i bagliori del ferro, senti il calore del fuoco. Pericoloso, ma così rassicurante. Vagheggi, fantastichi, ti sembra di leggere i titoli delle prime pagine del giorno dopo. Pensi davvero che Roma, tutta Roma, sia in preda alla guerriglia, alla follia delle scene fotocopia che sapresti riprodurre senza copione. Ed è un’idea che rischia di portarsi in dote un piacere sottile: quello di sentirsi in fondo parte di qualcosa, da raccontare ai nipotini, ma – grazie al cielo – senta stare lì in mezzo a prendersi le botte. Tanto meno il ferro o il fuoco.
Ricacci indietro questo pensiero, mentre apparecchi la tavola, restando comunque sulle spine. Anche perchè c’è il caso che ti preoccupi seriamente per la gente che ci vive lì, dove stasera, al posto dei monumenti e delle cartoline e dei palazzi e dei souvenir c’è il ferro, e il fuoco!
Non pensi che in una città enorme, davvero non sai quanto, anche tutto il ferro e il fuoco di una sera non bastino a cambiare le cose. Ma neanche un po’. Non rifletti sul fatto che in uno spazio cosi vasto, e caotico, pure l’urlo di centinaia di migliaia di persone a malapena ce la fa a superare il fiume. Sei preoccupato, cazzo, certo che non ci pensi. Temi per chi ami, sotto al ferro, in mezzo al fuoco. Non sai che una guerriglia urbana che stravolge i palinsesti, fa indignare i politici e sgomenta i genitori, spesso fa più rumore da te, negli echi da pianerottolo di palazzo di cittadina di periferia di Sud Italia, che dove la guerriglia c’è davvero. Dove si stanno ammazzando nel-vero-senso-della-parola, eh!
Non immagini che, durante la guerriglia, ci siano parecchi concittadini dei guerriglieri, intenti a difendersi dalle tentazioni di un happy hour. Distratti (cinici?) luogotenenti della superificie. Presidiano gli aperitivi e assaltano gli stuzzichini. E della guerriglia nel quartiere affianco ne sanno meno di te.
Che non vivrai a Roma, certo, ma sei uno che si informa!
O non sospetti che, magari, nella città grossa, c’è un provinciale come te. In mezzo al ferro e al fuoco. Che tutto quello che riesce a fare è chiedersi in continuazione: ma perchè?
Che gente, questi provinciali!
Non avevo sbagliato all’inizio. Volevo dire paradossali.
Ciao Gabbo!
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